Quei vestiti che mi andavano tre volte,
io, il più esile fra tutti i miei compagni,
che tra di loro si ammazzavano di botte
e a me portavano la merenda e i loro panni.
E la maestra, che non m’interrogava,
quando capiva che avevo non dormito;
io, troppo piccolo, per capir cosa accadeva,
ma con un’anima già vecchia d’infinito.
Erano gli anni dei quartieri in costruzione,
con le lenzuola stese nel cortile,
da ritirare con lo stampo del pallone,
tra ire di donne e odore di cantine.
Quelle nottate che non mi addormentavo,
madre ventenne e padre troppo assente,
io, il più grande, che me la comandavo,
come a sconfiggere gl’ incubi della mente.
Ed i vicini, buste
della spesa,
per i tre figli della "ragazzina";
loro sapevano il disagio e la galera;
mamma era sola, ma a noi, sempre sorrideva.
Erano gli anni di Zorro e Olandesina
nel carnevale in periferia di Roma;
babbo tornava dopo aver pagato il conto
e non ricordo se io piansi o fui contento.
Erano gli anni che il lavoro si trovava,
era un’ Italia che stava sviluppando;
se avesse avuto più testa e più fortuna,
io non scrivevo ciò che ora sto scrivendo .
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