Volevo dire a quelli che si son bruciati in acidi
o che han trovato accartocciati sopra una panchina
con una spada in vena,
che in un mondo parallelo eran di certo liberi
o addirittura ai vertici di una politica
che non prevede pena.
Che sono stati presi a calci e accantonati agli angoli
solo perché impauriti, non capivan gli ordini
di quella galera,
che il loro grido non è stato mai ascoltato
per colpa di una marcia cieca e irreprensibile
verso il centro della scena.
Volevo dirgli che in quei giorni, dentro ai loro inferi,
non eran loro i perdenti di una guerra,
né della miseria,
ma quelli che dettavan legge erano i veri miseri,
sconfitti da un DNA che li faceva schiavi
legati a una catena.
E che ogni volta che abbiam pianto uno di voi
dietro cortei di poca gente silenziosa,
una manciata appena,
c’era quel poco di sollievo da un pensiero in meno
che ci rendeva ai nostri boia simili
e alla stessa catena.
Non siete stati grandi esempi per nessun bambino,
in questo posto dove esempio non lo è nessuno,
tranne una ventina,
quelli che appaiono vestiti da sentenza e regole
nelle scatole di lusso illuminate in sala
mentre si sta a cena.
E dirvi infine che voi siete solo vittime,
che avete preso tutto ciò che vi hanno offerto,
con la mano piena,
gli stessi che poi dopo vi hanno giudicato,
appeso il cappio al collo ed impiccato
senza alcuna pena.
Ma in un mondo parallelo so che avreste speso il dono
di sognatori di giustizia pace amore e libertà,
come dei Che-Guevara,
senza dover cercar confusi quella vostra indole
nelle sostanze amare, nelle bottiglie scure,
dentro la vostra vena.
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