martedì 7 maggio 2013

IL CONSOLE TUNISINO

Nell'odore di credenza tunisina,
giovanissimo operaio nei traslochi,
ero intento ad imballar nella cucina,
con i datteri in un piatto e in mezzo ai denti.
Tra la cura nell'avvolgere i bicchieri,
s'insinuava la sottil preoccupazione
per come avrei protetto il quadro enorme
che il Console teneva nel salone.
Un dipinto grande quasi una parete
con il vetro e la cornice lavorata
ad ornare l'immagine severa
di buonanima, suo padre, Capitano di Fregata.
Ero lì, che pensavo e masticavo,
quando a un tratto mi colpì l'ispirazione;
lasciai tutto: piatti, datteri e bicchieri
e incominciai a preparar l'operazione.
Con la moglie andata a fare spese in centro
e il marito alle prese col giardino,
fui costretto a domandare, mio malgrado,
alla figlia sedicenne un aiutino.

Fui sorpreso nel vedermela sbucare
dopo un solo colpo lieve alla sua porta
e nel sentire la mia voce imbarazzata
a formulare quella semplice richiesta.
Arrivò in sottoveste trasparente,
sorridente e di bellezza impressionante;
disinvolta, nonostante la cultura,
e maliziosa, addirittura, nelle movenze.
Ma rimasi concentrato sul daffare
e le diedi indicazioni ben precise;
ma quel cristo era davvero un brutto affare
per le sue manine lisce ed indecise.
Così cadde dalla sedia e il quadro dietro,
sparpagliando vetri e tocchi di cornice
e lei, seduta in terra a gambe aperte,
disse "stai tranquillo, non mi sono fatta male".
Il terrore e la visione di quella dea,
annichilirono le facoltà di riflessione;
mi chinai per aiutarla a risalire,
ma lei mi prese per la maglia e mi tirò giù.

Immaginate, lor signori, quella scena
agli occhi di un funzionario tunisino,
figlio di un Capitano di Fregata
e padre di una figlia immacolata!
Accorse richiamato dal frastuono
faticando a realizzare l'accaduto;
rimase qualche attimo smarrito:
il tempo adatto a me per filar via.
Con il pantalone aperto e a quattro zampe,
ruzzolai davanti al suo stupore
e slittando fra i detriti del Capitano,
salutai la figlia urlando "addio mio amore"!
Rivestendomi correndo per le scale,
inciampai nella signora e il suo inserviente;
le dissi "presto, suo marito ha un gran malore"!
e sparii dietro di loro, vigliaccamente.

Persi il posto, ma non fui preoccupato:
a vent'anni avrei avuto altre occasioni;
a sangue freddo fui, piuttosto, terrorizzato
nel pensare alla legge del "taglione".
Ma si, la legge per cui mozzano la mano
a chi, in quei posti, sorprendono a rubare.
E a me, che quella vergine stavo per violare,
non voglio saper cosa mi avrebbero tagliato!

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