Viso allungato da soffio felice,
contorno, sicuro, di canto parente;
tre candeline, di fiamma vibrante,
nell’attimo prima di essere spente.
Sbiadita nel dorso, al par dell’innanzi,
di chissà quale inchiostro, di chissà quale mano,
svetta, incurante dei nostalgici lai,
l’ ”addì tre novembre del sessantasei”.
Tra il bianco ed il nero, che diventano uno,
spettatore m’insinuo nel successivo accaduto,
su poltrona di vimini, comoda e dondolante,
mi siedo curioso, eccitato e sorridente.
Ed ecco i miei nonni, la loro cascina,
mia madre ventenne e le sorelle minori;
mio zio che mi prende, non ancora decenne,
e stringendomi in braccio, mi porta in giardino.
Respiro pacato, per non perdere nulla,
degli odori e dei suoni così ancor familiari;
poi c’è Rudy che abbaia e qualcuno lo sgrida:
ha fiutato qualcosa sopra a quella poltrona.
Nonno si avvicina col tabacco già in mano,
dall’astuccio argentato tira via una cartina;
gli cedo il suo posto carezzandogli il capo,
lui si volta di scatto, con brontolio siciliano.
Le donne son prese a sparecchiare e pulire,
un po’di torta è d’avanzo, andrà bene per cena;
e col caffè che richiama nel suo fischio di moka,
lentamente ritorno al mio mondo presente.
Sento il cuore cantare ”tanti auguri a Daniele”...
e di quel soffio felice ritrovo tutto l’amore.
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